venerdì 11 giugno 2010

IL PROF. PIRRO: NO AD UNA NUOVA DISMISSIONE DEL MEZZOGIORNO


Pubblichiamo quì di seguito un intervento del prof. Pirro, Docente di Storia dell’Industria nell’Università di Bari e di Politiche economiche territoriali nell’Ateneo di Lecce.

Tornano a fare notizia a livello nazionale le vicende in corso all’Ilva di Taranto, sia per la ritrovata combattività rivendicativa di larga pare dei suoi dipendenti, e sia per il sempre più acceso dibattito avviato da tempo nel capoluogo ionico sull’impatto ambientale del grande sito produttivo e persino sulla prosecuzione del suo esercizio, che una frangia di ambientalisti locali vorrebbe far dismettere nella sua interezza, o almeno nell’area a caldo, mediante un referendum cittadino (peraltro consultivo) per la cui indizione da parte dell’Amministrazione comunale si stanno raccogliendo le firme necessarie.

Il 14 maggio si è svolto uno sciopero indetto dalle segreterie di Fiom Fim e Uilm per il rinnovo del contratto integrativo scaduto nel 2008. Sarebbe stata una giornata di lotta come tante altre del passato - e come tale non particolarmente memorabile - se non fosse accaduto che questa volta, dopo molti anni, la partecipazione dei lavoratori è stata particolarmente alta grazie alla discesa in campo anche di molti giovani operai assunti nell’ultimo decennio, ma poco sindacalizzati e ancor meno politicizzati, che in precedenza si erano mostrati restii a mobilitarsi. Si consideri, al riguardo, che dopo l’ingresso in fabbrica avvenuto il 1° maggio 1995 del nuovo management del Gruppo Riva all’indomani della privatizzazione - a partire dal luglio del 1997, insieme al pensionamento di molti dipendenti per raggiunti limiti di età, in applicazione delle normative sull’amianto sono stati accompagnati alla pensione altri 7.800 operai e tecnici al cui posto sono entrate - in questo che è il più grande stabilimento siderurgico a ciclo integrale d’Europa per pmp (produzione massima possibile) e la maggior fabbrica manifatturiera italiana per numero di addetti diretti – molte migliaia di giovani[1] che hanno consentito di abbassare l’età media di coloro che lavorano nell’impianto, portandola a 33 anni.

Inoltre, nel mentre proseguiva in città il confronto vivace e a tratti molto teso fra i movimenti ambientalisti, le Istituzioni locali, la Regione, l’Arpa, i Sindacati, la Confindustria e gli organi di informazione sulle problematiche prima richiamate riguardanti l’impatto sull’ecosistema del Siderurgico e delle altre grandi industrie insediate in città, (raffineria dell’Eni, cementificio della Cementir, centrali elettriche), nelle settimane precedenti lo sciopero del 14 maggio 650 operai ‘precari’ dell’Ilva - 150 interinali in scadenza e 500 con contratto a tempo determinato, al momento disoccupati - avevano manifestato presso i cancelli della fabbrica, chiedendo di esservi assunti a tempo indeterminato. Già da mesi peraltro questi lavoratori stanno premendo in tal senso, chiedendo anche l’aiuto di Comune e Provincia che hanno loro assicurato il proprio interessamento. Le Organizzazioni Sindacali a loro volta hanno avviato una trattativa con la Direzione aziendale che, da quanto si è letto sulla stampa, sarebbe disponibile - il condizionale è d’obbligo - ad assumere però solo coloro che abbiano svolto almeno 24 mesi di attività nello stabilimento.

Questi due eventi, comunque - lo sciopero per il rinnovo del contratto integrativo e le manifestazioni dei precari finalizzate all’assunzione - a prescindere dal loro esito affidato al confronto anche duro fra le controparti, delineano una dialettica che, pur essendo tornata conflittuale dopo lungo tempo, rientra tuttavia nella fisiologia delle relazioni industriali nella più grande fabbrica in esercizio nel Mezzogiorno e nel Paese, anche se al momento essa non può dispiegare al massimo le sue potenzialità produttive, a causa di una domanda di coils, lamiere e tubi in acciaio che, non solo non è tornata ai livelli massimi del 2007 e della prima metà del 2008, ma sta nuovamente rallentando dopo gli incoraggianti segnali di rilancio registrati nel primo trimestre dell’anno in corso.

Ma, come si diceva in precedenza, in queste settimane a Taranto un’associazione ambientalista sta raccogliendo le firme necessarie per lo svolgimento di un referendum (consultivo) sulla chiusura dell’impianto, o almeno della sua area a caldo; si vorrebbe cioè da parte dei promotori della consultazione far cessare la produzione, o ridurla significativamente, proprio in quello stesso sito industriale in cui, invece, i suoi dipendenti scioperano per salari più elevati ed altri lavoratori vorrebbero esservi assunti a tempo indeterminato. Insomma, non potrebbe esservi contraddizione più stridente fra la legittima domanda di un salario maggiore e il diritto all’occupazione di chi già è in azienda - o vuole ritornarvi a produrre - e chi, invece, chiede che quella stessa fabbrica venga chiusa, o almeno ridimensionata con la dismissione della sua area a caldo, che comporterebbe anch’essa una pesante contrazione produttiva e occupazionale.

Confindustria e Sindacati - ma anche la stessa Regione Puglia, con il rieletto Presidente Nichi Vendola e l’Arpa, l’Agenzia regionale per l’ambiente - si sono dichiarati contrari al referendum, sottolineando come le questioni dell’impatto ambientale della grande acciaieria stiano trovando ormai da tempo efficaci soluzioni grazie ai massicci investimenti sinora realizzati dal Gruppo Riva che - per il solo miglioramento dell’ecosostenibilità - sono ammontati fra il 1995 e il 2008 a 907,5 milioni di euro, cui si aggiungeranno quelli già programmati per i prossimi anni e che, non lo si dimentichi, sono sempre stati totalmente autofinanziati. Nel periodo 1995-2009 poi gli investimenti globali del Gruppo nel sito di Taranto - per manutenzioni ordinarie e straordinarie, revamping di singoli impianti, ammodernamento di tecnologie di processo ed inclusivi di quelli per la riduzione dell’impatto sull’ecosistema e la sicurezza sul lavoro - sono ammontati ad oltre 4 miliardi di euro[2].

Ma ci sono anche altri dati riguardanti l’Ilva su cui bisogna riflettere attentamente: Taranto e la sua provincia, qualora si dismettesse il suo sito siderurgico, possono privarsi di 11.876 posti di lavoro diretti[3], cui si aggiungono 2.703 unità fra gli indiretti? E il solo capoluogo può privarsi di 4.021 dipendenti dell’Ilva, cui si uniscono 676 indiretti residenti in città? E quali concrete alternative offre oggi il mercato del lavoro cittadino e dell’hinterland a chi perdesse il lavoro in questa fabbrica?

E la provincia può rinunciare a 219 milioni di stipendi netti[4], quanto corrisposto cioè dall’Ilva nel 2008 ed equivalenti ad un reddito medio annuo pro-capite di un dipendente di 21.222 euro, calcolato come valore medio per inquadramento ed anzianità aziendale? E il territorio può rinunciare ad un impianto che dal 1995 al gennaio 2010 ha corrisposto ben 2 miliardi e 437 milioni di euro di subforniture a favore di 929 aziende iscritte alla locale Camera di Commercio[5]?

Ed ancora, si può dismettere un opificio che alimenta il 76%, ovvero i ¾ della movimentazione del porto, che assicura gettito anche agli Enti locali per il pagamento delle imposte ad essi dovute, e le cui vendite all’estero rappresentano ormai da anni la prima voce dell’export pugliese[6], nonché il cardine di una sezione strategica dell’industria meccanica italiana?
Non sarebbe allora più giusto - raccogliendo le legittime sollecitazioni della popolazione e dei settori più accorti dell’ambientalismo locale per un ulteriore contenimento dell’impatto sull’ecosistema di questa grande fabbrica - proseguire sulla strada degli interventi impiantistici concordati con l’azienda nelle sedi competenti (Ministero dell’Ambiente, Regione) alla luce delle normative vigenti e delle prescrizioni ad esse connesse, volte a migliorarne l’ecosostenibilità, evitando veri e propri salti nel buio ai suoi dipendenti, alla città, al territorio che vi gravita intorno e all’intera economia pugliese?

Tuttavia, ove malauguratamente un determinato pronunciamento referendario - peraltro non facilmente traducibile poi in un atto esecutivo di chiusura dell’intero impianto o della sua area a caldo - concorresse comunque a determinarlo, il capoluogo ionico vivrebbe una situazione già conosciuta a Napoli con la dismissione dell’impianto siderurgico di Bagnoli, avvenuta a partire dall’ottobre del 1991, per decisione governativa ‘imposta’ dalle Autorità comunitarie, nell’ambito dei piani di ristrutturazione e privatizzazione della siderurgia pubblica italiana. Le conseguenze? Smantellamento di una grande fabbrica in cui alcuni anni prima si erano investiti circa 800 miliardi di vecchie lire per ammodernarne parte dell’acciaieria, distruzione sociale, culturale e identitaria di un forte nucleo ‘storico’ di operai, tecnici e dirigenti avviati al prepensionamento, lunghissimo processo di bonifica dell’area e suo rilancio produttivo con altre destinazioni, peraltro ancora oggi in fase del tutto iniziale, cancellazione di una grande memoria di storie e di lotte collettive che sono state tanta parte del movimento operaio partenopeo e dell’intero quartiere-città che gravitava su una fabbrica promossa, com’è noto, dalla Legge speciale per Napoli del 1904 e avviata in produzione nel 1908.

Anche altri centri urbani e territori del Mezzogiorno hanno conosciuto nell’ultimo ventennio smantellamenti di antichi comparti industriali che per decenni costituirono non solo punti di forza produttivi delle rispettive aree, ma luoghi di formazione e accumulazione di saperi ed esperienze di fabbrica e di forti nuclei di moderno proletariato manifatturiero, dal Crotonese - con il tracollo del suo polo chimico e di altre aziende che contribuivano a farne uno dei siti industriali più forti del Sud - all’area di Manfredonia, ove con la chiusura dell’Enichem e delle sue produzioni di caprolattame e di fertilizzanti e il crollo di tutte le attività indotte - dismissione in questo caso determinata da errori dell’Eni ed anche da forme di estremismo ambientalista - si è perduto un intero patrimonio di tecnologie, grandi infrastrutture ed esperienze professionali di operai e tecnici di livello medio-alto. Processi di deindustrializzazione, quelli appena ricordati, cui poi si è cercato di sostituire l’avvio di nuovi insediamenti favoriti da costosi strumenti della programmazione negoziata come i ‘contratti d’area’, con cui lo Stato ha tentato in qualche modo di risarcire i territori e le popolazioni delle città che erano state colpite dalle pesanti crisi industriali, in qualche caso ‘pilotate’; ma quei processi di rigenerazione economica non solo ancora oggi, a molti anni di distanza dal loro avvio, non hanno prodotto i risultati attesi in termini di occupazione e rilancio delle economie locali, ma già subiscono gli effetti negativi della globalizzazione.

Allora, anche per questa ragione, Taranto e il suo grande impianto siderurgico - con la giovane classe operaia che vi si sta formando, accanto ai tecnici e al management del Gruppo Riva - deve continuare ad essere un saldo presidio industriale della Puglia, del Mezzogiorno e dell’Italia, naturalmente in un quadro di crescente ecosostenibilità del suo esercizio.

Federico PIRRO*

*Docente di Storia dell’Industria nell’Università di Bari e di Politiche economiche territoriali nell’Ateneo di Lecce.

[1] Cfr. ILVA, Rapporto ambiente e sicurezza 2009, stabilimento di Taranto, p.16.
[2] Ivi, p.4.
[3] Fonte: Direzione del personale ILVA, aprile 2010.
[4] Fonte: Direzione del personale ILVA, aprile 2010.
[5] Fonte: Direzione acquisti ILVA, aprile 2010.
[6] Cfr. Banca d’Italia, L’economia della Puglia, varie annate.

martedì 1 giugno 2010

PROCESSO ALL'ILVA. COMINCIATO IERI IL DIBATTIMENTO



“La Fiom Cgil, costituita parte civile con l’avv. Massimiliano Del Vecchio nel procedimento penale a carico dei direttori dello stabilimento Italsider e grandi manager del gruppo Fintecna Spa, imputati di omicidi colposi plurimi aggravati da futili motivi, omissione colposa di cautele antinfortunistiche e disastro ambientale per il decesso per tumore di 36 lavoratori, desidera segnalare che in data odierna si è tenuto il dibattimento dinanzi al Tribunale di Taranto II Sez. penale in composizione monocratica.
Un primo risultato è stato quello che il responsabile civile ha risarcito in via transattiva tutti gli eredi dei lavoratori deceduti pure costituitisi parti civili ad eccezione di due nuclei familiari, per i quali ha preannunciato l’imminente definizione della lite.
La Fiom Cgil, naturalmente, non ha accettato e non accetterà alcun accordo, giacchè la sua funzione nel processo è quella di collaborare e pretendere l’accertamento della verità, ruolo che, a questo punto, diventa ancora più importante poiché le altre parti civili sono così destinate ad essere estromesse dal processo.
Ad ogni buon conto, la Fiom e la Cgil vedono con grande soddisfazione la erogazione dei primi risarcimenti in favore delle vittime, essendo ben consapevole delle difficoltà in cui versano le famiglie prive di chi garantiva il sostegno reddituale.
Il processo è stato rinviato alla udienza del 22/3/2011, per la integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli imputati.
In quella data saranno ammesse le prove dibattimentali e sarà autorizzata la citazione dei periti.
La Fiom e la Cgil ribadiscono l’invito ad enti ed associazioni per affiancarsi nella costituzione di parte civile nel processo che ci occupa, che sarà ancora possibile proporre alla prossima udienza, in difesa dei lavoratori e più in generale della cittadinanza.”

LA FIOM CGIL SIETE VOI. GRAZIE A TUTTI



IL GRAZIE DELLA FIOM-CGIL DI TARANTO A TUTTI COLORO CHE HANNO CREDUTO IN NOI!
La FIOM è loro!

LA FIOM SIETE VOI!



La FIOM non è nei palazzi, è per le strade, dentro e fuori le fabbriche. E' vicino a chi lavora. E questi volti sono alcuni dei nostri nuovi e vecchi rappresentanti RSU in ILVA. A chi ha creduto in tutti noi e a loro stessi il nostro più sentito GRAZIE!

lunedì 31 maggio 2010

ELEZIONI RSU ILVA. LA FIOM RIPARTE E AVANZA



Le elezioni delle RSU all’Ilva di Taranto, svolte nel pieno della vertenza per il rinnovo dell’integrativo aziendale, hanno visto, nonostante la cassa integrazione ancora in corso, un’alta partecipazione dei lavoratori interessati, attorno all’84%, registrando una significativa affermazione dei candidati della Fiom, che avanza in voti assoluti e in percentuale, arrivando ad eleggere due delegati in più e avendo contemporaneamente il delegato più suffragato con 220 voti di preferenza.

Il confronto dei dati di oggi con quelli delle elezioni precedenti, è molto interessante. I 9.869 voti espressi sono andati rispettivamente: 4.259 alle liste della Uilm, pari al 43,63% (erano 4.881, pari al 44,97%); 3.063 alle liste della Fiom, pari al 31,38% (erano 3.053, pari al 28,13%); 2.433 alle liste della Fim, pari al 24,92% (erano 2705).

Quest’avanzamento delle liste della Fiom è ancora più marcato tra gli operai, dove la Fiom si attesta attorno al 33%.

Così come è interessante tenere conto dei dati degli iscritti al sindacato all’ILVA, che storicamente vedono la Uilm come primo sindacato, la Fiom rispetto agli iscritti aumenta di molto il proprio consenso, molto di più delle altre due organizzazioni, un segnale interessante che auspichiamo si tramuti in più iscritti alla Fiom.

Un risultato quindi molto soddisfacente per le liste della Fiom, che non a caso è stato sottolineato con forza e soddisfazione nel corso del Comitato Centrale della Fiom, in corso di svolgimento oggi a Roma, e dallo stesso segretario generale della CGIL Guglielmo Epifani.

Questo avanzamento della Fiom è un riconoscimento al lavoro svolto della nostra organizzazione in particolare in questi ultimi tempi, attraverso l’impegno degli iscritti, degli attivisti, dei dirigenti, oltre che dei lavoratori che hanno votato le nostre liste e che ringraziamo sentitamente.

La Fiom, assieme a tutti i delegati eletti nelle proprie liste, utilizzerà questo maggiore consenso per proseguire l’iniziativa sindacale sia sulle questioni generali per la riconquista del contratto nazionale e contro i drastici tagli che il Governo si appresta a fare; sia sulla situazione specifica dell’ Ilva, a partire dal rinnovo dell’integrativo aziendale, che contiene al suo interno anche gli obiettivi dalla stabilizzazione dei lavoratori somministrati e dall’impegno sulla ambientalizzazione degli impianti dell’Ilva di Taranto.

Questo risultato elettorale infine conforta la Fiom nel proseguire nella chiarezza delle proprie posizioni, evitando polemiche strumentali con le altre organizzazioni, ma riaffermando sempre il valore della partecipazione e della democrazia che è un diritto inalienabile di tutti i lavoratori.
(foto di Peppe Carucci)
Fiom Nazionale


Roma, 31 maggio 2010

sabato 29 maggio 2010

ELEZIONI ILVA. NOI FORZA CHE CRESCE




Non usa toni trionfalistici la segreteria della FIOM-CGIL di Taranto di fronte ai dati elettorali per il rinnovo delle RSU all’interno dell’ILVA. Eppure quei 3 punti in percentuali guadagnati rispetto alle elezioni del dicembre 2006 dovrebbero suonare come più di un incoraggiamento visto che le altre sigle calano in termini di voti rispetto alle scorse elezioni.
Cresciamo in numero assoluto di voti e di percentuali – spiega Patrizio Di Pietro dell’esecutivo FIOM – ma le notizie che arrivano dall’interno dello stabilimento e ancora le voci di crisi rispetto ai mercati appannano questo successo e in più consegnano nelle nostre mani e in quelle dei lavoratori eletti una responsabilità rispetto ai futuri assetti produttivi ed occupazionali. Fiducia che non possiamo assolutamente permetterci di tradire.
Restano, però, i dati.
Su 11.780 aventi diritto al voto, hanno votato 9.869 lavoratori.
E’ una percentuale in crescita – dice ancora Di Pietro – siamo passati infatti da una affluenza dell’81,41 del 2006 (con una forza lavoro ed elettorale di 13.331 persone – ndr) ad un dato che sfiora l’84%.
Un dato che spacchettato consegna un quadro più delineato delle nuove rappresentanze sindacali all’interno della più importante fabbrica del Sud.
La FIM-CISL passa dal 24,9% del 2006 all’attuale 24,65, la UILM (forza maggioritaria) corregge in difetto la sua percentuale passando dal 44,97 del 2006 al 43,15 di queste elezioni. Regge e anzi migliora sensibilmente la sua posizione la FIOM-CGIL passando dai 28,13 punti in percentuale delle scorse elezioni agli attuali 31,04.
E’ un dato che ci consegna una presa in carico non di poco conto – afferma Rosario Rappa, segretario generale della FIOM di Taranto – e che dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, che alcune posizioni assunte dalla FIOM in difesa del lavoro, del contratto e della tutela dei diritti di questi lavoratori hanno saputo smuovere una certa marcata e nuova sensibilità collettiva.
Così gli assetti del nuovo Consiglio di fabbrica che sarà varato non prima di una settimana (per l’iter di eventuali ricorsi e la nomina ufficiale – ndr), cambiano e gli 87 rappresentanti dei lavoratori saranno così suddivisi: 22 delegati saranno della FIM, 26 (due in più rispetto al 2006) della FIOM e 39 della UILM che mantiene la maggioranza anche in virtù delle nomine sui resti avvenute con il sistema proporzionale.
Ora sta a noi continuare a dare sostegno a questa nuova leva di rappresentanti dei lavoratori, a cui va sin da ora il mio più sentito grazie per averci messo anima, passione e faccia – termina Rappa – considerato che nel difficile quadro delle relazioni interne a quello stabilimento li attendeil compito gravoso eppure esaltante di essere la voce e il pensiero di chi spesso non è tenuto in debita considerazione.
Prossima tappa lo sciopero generale proposto dalla CGIL.
La manovra Finanziaria e la stretta del Governo impone sacrifici soprattutto a lavoratori come quelli dell’ILVA già penalizzati da una politica economica e fiscale che grava maggiormente sul lavoratore dipendente – termina Rappa – i delegati della FIOM dovranno essere il nostro feedback con la fabbrica, sperando che almeno sulla difesa di questi lavoratori e di altri come loro si possa trovare un accordo anche con le altre sigle sindacali. La vera sfida comincia ora!

mercoledì 26 maggio 2010

VOTO ALL'ILVA. FIOM: UN'AFFLUENZA NOTEVOLE. FORSE NUOVA STAGIONE DI PROTAGONISMO PER LA CLASSE OPERAIA TARANTINA


Ieri prima giornata di voto all’interno dell’ILVA.
E il segnale non si è fatto attendere.
C’è stata una grande affluenza alle urne, ma il dato saremo in grado di commentarlo davvero solo all’atto dei primi scrutini, dice il segretario della FIOM-CGIL, Rosario Rappa.
Ma ripetiamo, questi restano segnali “anomali” per una fabbrica “anomala”, dove la partecipazione dei lavoratori allo sciopero e alle espressioni democratiche del voto fino a solo poche settimane fa non avevano mai segnato elementi di positività.
Mentre lo sciopero del 14 e l’affluenza già dalle prime ore di ieri mostrano un nuovo volto, forse anche un nuovo periodo per il protagonismo dei lavoratori.
E’ il segno che la corda si può anche spezzare, che la pazienza dei lavoratori non è infinita e che quando vengono messi in discussione i diritti, il lavoro e la salute gli operai sanno alzare la testa e riconquistare tutto il terreno perso.

Si vota anche oggi e domani.
Il voto ai candidati della FIOM-CGIL in tutti i collegi all’interno dell’ILVA è la speranza che questo cambiamento possa realmente concretizzarsi a partire anche dal rinnovamento delle relazioni sindacali, pronte ad instaurare con la proprietà un dialogo a schiena dritta e non dimenticando mai chi rappresentano. La FIOM – termina Rappa - è sempre dalla stessa parte, sia quando non firma gli accordi separati, sia quando combatte per l’integrativo.